Il radicante. Per un'estetica della globalizzazione

Con "The Radicant" Nicolas Bourriaud arriva alla terza tappa dell'importante percorso teorico iniziato con "Estetica relazionale" e "Postproduction", titoli con i quali aveva già provato un confronto tra la storia dell'arte e quella della produzione culturale e della globalizzazione. Il concetto di arte relazionale a sua volta è davvero entrato in un contesto culturale più ampio, favorendo una maggiore leggibilità delle complessità dell'arte contemporanea e prestandosi a tutti quegli esempi di interazione sociale che a partire dall'arte hanno conquistato la vita quotidiana e l'agire urbano in declinazioni e aspetti che vanno dal puro tempo libero al marketing strettamente inteso. Multiculturalismo. Postmoderno. Globalizzazione culturale. Sono queste le parole-chiave a partire dalle quali si organizza questo saggio, parole che rimandano a questioni insolute. Una domanda lacerante costituisce quindi il punto di partenza di questo lavoro teorico: perché la globalizzazione è stata commentata così tanto da un punto di vista sociologico, politico, economico, e quasi mai secondo una prospettiva estetica? A partire da quel grande mixer che fu Magiciens de la terre si può datare l'ingresso ufficiale dell'arte in quello che ormai è il nostro mondo globalizzato e privo di grandi narrazioni. Questa improvvisa irruzione di individui provenienti da paesi allora definiti periferici nella sfera contemporanea corrisponde alla nascita di quella tappa del capitalismo integrale che, vent'anni più tardi, prenderà il nome di globalizzazione. ...'Radicante' è un termine prelevato dalla botanica, e indica una sostanza (ad esempio a carattere ormonale) che ha la funzione di facilitare la riproduzione e la crescita delle radici. Si tratta di un termine che, riposizionato in ambito artistico, assume un significato (valido peraltro in maniera assai più estesa) che potremmo definire "aereo", restando in metafora. In altre parole, con questa costellazione terminologica si intende far segno verso la radice e la radicalità, ma cogliendone non il tradizionale riferimento al legame indissolubile e soprattutto inamovibile al terreno (alla "propria" patria, al trinomio razza-sangue-territorio), bensì la capacità di mantenere dei legami ma in maniera più mobile, come per l'appunto nel caso delle radici aeree. Un'apertura al mondo che, d'altro canto, non significa affatto rinnegare le proprie origini; al contrario: la capacità di innestarsi temporaneamente e ripetutamente è una capacità che presuppone una certa solidità di partenza. Insomma, qualcosa di ben diverso da tanto multiculturalismo e postcolonialismo (figli del postmodernismo, a sua volta erede assai spesso ingrato del modernismo, che Bourriaud ha il coraggio di riprendere, pur con tutte le precauzioni concettuali del caso, tentando di pensare una altermodernità), che proprio nel momento in cui tentano di negare (a se stessi) l'inestirpabilità dell'origine, la rendono per così dire latente, e per ciò tanto più imprevedibilmente assiomatica... E il volume rivela, o meglio conferma, la sua natura: quella di un libro profondamente politico, al pari e più dei suoi precedenti; quella di un libro che, al pari e più dei precedenti, soffre a esser riposto nello scaffale della libreria dedicato alla critica d'arte.(Marco Enrico Giacomelli D'ARS n. 205/spring 2011)

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